sabato 19 gennaio 2008

Cambiare strategia - La soggettività operaia e le mappe di rischio

Nonostante che i segretari generali del sindacato italiano siano ospiti abituali dei talk-shaw televisivi la quotidianità della vita dei lavoratori è conosciuta solamente per i bassi salari e l’instabilità dell’occupazione. La vita sul lavoro è diventata «invisibile» e contano meno di un tempo pur essendo molti milioni ed una buona parte con tessera sindacale: oltre cinque milioni gli iscritti ai tre principali sindacati confederali.
Solo la morte sul lavoro, se spettacolare, pare possa renderli «visibili» riproponendo i problemi dell’organizzazione e della sicurezza del lavoro, dell’integrità psico-fisica e della dignità del lavoratore. Così fu vent’anni fa, nel 1987, con il più grave incidente sul lavoro avvenuto in Italia, quello della Mecnavi quando 13 lavoratori della manutenzione morirono soffocati nella stiva della Elisabetta Montanari, nel porto di Ravenna. Così è stato in queste settimane a Torino per le sette vittime alla ThyssenKrupp. Allora seguì una lunga inchiesta parlamentare che non cambiò le cose, questa volta cosa sarà?
A Torino i riflettori si sono accesi a ripetizione sia per ricostruire scenari da “Apocalisse now”, spettacolari per quanto tragici, sia per seguire il giallo delle accuse e delle smentite della multinazionale tedesca. Non così era stato l’anno scorso per le cinque vittime causate dall’esplosione alla “Molino Cordero” di Fossano.
Non abbiamo compreso, ne condiviso, quei titoli che definivano martiri gli operai della Thyssen che invece sono stati uccisi per gravi negligenze e superficialità organizzative della Direzione Aziendale Torinese e della multinazionale bavarese. Ne comprendiamo perché in un rito funebre il cordoglio e l’emozione debbano esprimersi in applausi al passaggio delle bare quando più consono si addice il silenzio prolungato per manifestare la profondità di un saluto collettivo a chi è stata strappata la vita.

A distanza dai tragici fatti il Segretario Generale della Cgil Guglielmo Epifani, a metà gennaio su «La Repubblica», ha dichiarato che “ogni morto sul lavoro è una sconfitta per il sindacato… che c'è anche una nostra quota di responsabilità, accanto alla mancanza di controlli e alle colpe delle imprese che spesso non si curano della sicurezza in nome del profitto”, sollecitando «un’autoriforma» del sindacato per ritornare ad essere ben presente sui problemi interni delle fabbriche, condizione fondamentale per perseguire più sicurezza. Non possiamo dimenticarci che il sindacato in fabbrica c’è disponendo di non pochi iscritti e di piccolo esercito di RSU e RSL (parecchie migliaia) che dispongono di un monte ore retribuito, come pure lo sono le ore annue di assemblee per tutti i lavoratori. Anziché prospettare vaghe autoriforme servirebbe una rapida inchiesta delle Confederazioni per verificare quale sia la quantità e la qualità dell’informazione e della formazione trasmessa ai RSL, ARSLT ed ai lavoratori in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Ovvero quale modello d’intervento è stato proposto e con quale efficacia.
Probabilmente si accerterebbe che le iniziative sono limitate e scarsa la conoscenza dell’organizzazione di lavoro senza la quale non si può costruire una mappa dei rischi collettivi sui quali pone attenzione primaria proprio la legge 626 che privilegia gli interventi di prevenzione collettiva per ridurre il rischio infortunistico, per contenere la diffusione di inquinanti nell’ambiente di lavoro. Serve pertanto formare una coscienza collettiva per gruppi di lavorazione omogenee, anche per esigere dai lavoratori il rispetto delle protezioni individuali che per essere sopportate a volte richiedono una modifica dei carichi di lavoro. La vigilanza operaia si attiva con quella soggettività operaia, collettiva, in grado di esprimere valutazioni sulla propria prestazione di lavoro, nel contempo essere sensori per indirizzare l’intervento del sindacato di fabbrica e territoriale. Quella coscienza si costruisce gradino per gradino, più con piccole assemblee anziché grandi comizi, ponendo propedeuticamente dubbi sistematici per approfondire l’argomento, con carta e penna per annotare. Così si fece nei primi anni 70, quando nelle officine si distribuivano i questionari, gli opuscoli con «omini» ed i colori dei fattori di rischio. Poi il sindacato tralasciò quel metodo e le mappe di rischio, affidandosi al ruolo dei medici interni e degli ispettori delle nuove strutture previste, nel 1978, con l’avvento del Servizio Sanitario Nazionale ed in seguito con l’istituzione degli enti bilaterali.

Gli organismi bilaterali per le piccole e medie aziende torinesi

All’Associazione Piccole e Medie Imprese (API) aderiscono, nella provincia torinese, 2700 aziende con circa 45.000 addetti; sono oltre 4.000 aziende con circa 85.000 addetti nella regione. Oltre il 50% sono aziende con meno di 15 addetti, dove in genere non c’è il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). Il Segretario Generale dell’Api Torinese Roberto Degioanni informa che «L’Organismo Paritetico Territoriale (OPT) e quello regionale (OPR) si riuniscono mediamente 7-8 volte all’anno per definire programmi formativi da presentare all’Inail, finora non hanno affrontato altre tematiche come ad esempio casi di vertenzialità sulla sicurezza non risolti in azienda».
L’attività formativa per il 2008 prevede sei corsi - finanziati dall’Inail con 366.000 € - che trattano: dei disturbi muscolari, della formazione per RLS e RLST, del regolamento europeo Reach, dell’azione formativa per esperti del Sistema Gestione Sicurezza lavoro (SGSL), delle iniziative per promuovere una banca dati regionale per RSL/RSLT. Saranno interessati 250 RLS e 480 RSPP, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dei rischi scelto dall’Azienda, suddividendoli in corsi con 12-15 partecipanti utilizzando le 32 ore previste dalla legge 626.

Gli organismi bilaterali per l’artigianato

L’Ente Bilaterale per l’Artigianato Piemontese (EBAP), costituito nel 1993, gestisce Fondi per il sostegno al reddito dei dipendenti, per la formazione professionale, per la previdenza complementare, per la mutualizzazione dei contributi sindacali per l’attività di delegati di bacino, per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Le aziende artigiane registrate in Piemonte sono 125.000, con circa 330.000 addetti, comprendendo l’industria e l’edilizia, con relative aziende uninominali e famigliari. Le aziende «sindacalizzabili» all’EBAP sono 26.000; attualmente sono 13.000 quelle iscritte ma al Fondo per la sicurezza sul lavoro aderiscono solo 6.500 aziende. Aldo Celestino, rappresentante della Cisl nell’Ente, sintetizza così l’attività informativa per la sicurezza sul lavoro: «nel 1997 sono stati stampati 90.000 “Quaderni di sicurezza” sulla legge 626, a cui sono seguiti sedici quaderni per settori, tra i quali quello per le “Carrozzerie in 10.000 copie”. Per l’attività formativa dei Rappresentanti dei Lavoratori della Sicurezza Territoriale (RLST) ricorda «che è stato attuato un programma di formazione di 13 moduli per un totale di 160 ore di studio». Gli RLST regionali sono 27 ripartiti pariteticamente tra Cigl, Cisl e Uil: ognuno usufruisce di un monte ore retribuito pari al part-time, il sindacato li utilizza come operatori a pieno tempo per l’attività ordinaria lasciando solo briciole per la specificità dell’artigianato. «Sono anomalie a cui bisogna rimediare al più presto -sottolinea Celestino- così pure alla mancanza di formazione per i lavoratori; a livello nazionale, si stima che il 40% delle aziende sarebbero a rischio ma solamente il 6% dei lavoratori avrebbe partecipato ad attività formativa».

Gli organismi bilaterali per l’industria

Gli organismo bilaterali per le aziende che aderiscono all’Unione Industriale risultano i meno operativi, da circa due anni non sono neppure più convocati e questo torpore non sembrerebbe scosso neppure dopo la tragedia ThyssenKrupp. La diversità interpretative sulla legge 626 risulterebbe talmente radicata da indurre alla rinuncia di ulteriori confronti per costituire un’anagrafe comune, per definire un modello d’intervento per il RSL. Doriano Ravarino, responsabile per la Fiom-Cgil per l’ambiente e la sicurezza sul lavoro, rivela cose che lasciano increduli: «le aziende non consentono -tranne lodevoli eccezioni- neppure il diritto alle Rsu ed ai RSL di accedere ad internet e alla posta elettronica….». Prosegue con: «Finora al RSL non veniva consegnato il piano di sicurezza aziendale, nella maggioranza dei casi gli veniva illustrato, consentendo la visione - se richiesta - in seduta stante avvertendo che si trattava di segreto d’ufficio..». Ravarino prosegue descrivendo una serie di accorgimenti operativi con i quali le aziende «hanno sterilizzato la 626 escludendo dalla ricerca e dall’operatività gli RLS, ciò potrebbe proseguire anche dopo i chiarimenti del dlg 123/07».

Riprende l’iniziativa sindacale

Nella seconda metà del 2007 i sindacati torinesi, unitariamente e con iniziative di organizzazione, hanno dato un primo scossone all’immobilismo di questi anni, ben utilizzando le precisazioni della legge delega 123/agosto 2007 che dovrebbe consentire l’approvazione del lungamente atteso Testo Unico per la normativa sulla prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Ad ottobre 2007 la Cgil-Cisl-Uil regionali hanno presentato all’Assessorato alla Sanità un documento articolato in otto punti sul tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, tra i quali spicca la richiesta di destinare per i luoghi di lavoro almeno il 2% ( anziché il misero attuale 0,3%) del 5% del bilancio della sanità ( ovvero la quota del badget destinato alla voce prevenzione).
Nel 2007 la Cisl Regionale ha portato a termine un corso, di sei moduli, finanziato dall’Inail, per 30 formatori da utilizzare per un ampio programma di formazione ai RSL di cui ha costituito un’anagrafe.. A novembre la Cisl Regionale ha convocato, a Torino, una prima assemblea di RSL e RSTL con ottima riuscita ed i 350 RSL che gremivano la sala hanno «invocato» più informazione e più iniziative formative.
Nel 2007 la Fiom Torinese ha realizzato l’anagrafe dei propri RSL che contiene 300 nominativi di aziende e di Rsl. Inoltre, unitamente alla categoria dei chimici, ha definito - con il finanziamento dell’Inail, un piano di formazione che è iniziato nell’ottobre 2007 e si concluderà nel 2008. E’ costituito da quattro moduli per ognuno dei quali parteciperanno 14 RSL. Ogni modulo è di 32 ore ed è suddiviso in quattro lezioni articolate nell’arco di due mesi. I 96 RSL che termineranno con profitto tale corso saranno anche abilitati all’utilizzo di un data base su dischetto contenente il modello d’intervento e di registrazione dell’attività in azienda.
E’ auspicabile che riprenda, dopo quella delle singole organizzazioni, anche una programmata iniziativa unitaria dei sindacati, solo così si potrebbe superare definitivamente la lunga pausa di questi anni. Cambiare strategia implica anche entrare in rotta di collisione con il regime degli straordinari e le norme della loro detassazione che ne incentiva l’utilizzo, contestualmente proponendo la salvaguardia del potere d’acquisto dei salari con il pieno recupero dell’inflazione reale. Infine pretendendo che il Governo ed il Parlamento s’impegnino ha non più varare norme che depenalizzano i reati, che estinguono le pene (indulto e decreto mille deroghe di fine anno) relativi agli incidenti gravi sul lavoro e per il lavoro nero.

Gianni Marchetto ed Adriano Serafino


CANZONE
del sindacalista di opinione


competenze, competenze...
son quisquilie oppur scemenze,
deleghiamole ai borghesi,
che gestiscono il potere.
Le opinioni, le opinioni,
queste sì son cose vere :
ci si va in televisioni,
se ne parla per dei mesi.
Cosa dici? il saper fare?
lo lasciamo agli operai,
noi dobbiamo elaborare,
altrimenti sono guai.

Un amico

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