domenica 6 gennaio 2008

Quale mercato

di Norberto Bobbio
La Repubblica – Giovedì 18 Ottobre 2007

Il filosofo e lo storico – dialogo sulla politica

di Nello Ajello

La lettera inedita di Norberto Bobbio, che qui pubblichiamo, appare nel volume Norberto Bobbio – Giuseppe Tamburano, Carteggio su marxismo, liberalismo e socialismo (Editori Riuniti, pagg. 145, euro 14: da oggi in libreria). La corrispondenza tra il filosofo e lo storico, oggi presidente della Fondazione Nenni, si estende dal 1956 al 1997. In quel ’56 Tamburrano stava allontanandosi dal PCI verso il partito di Nenni, con il timore però, che esso cadesse, dopo il giusto ripudio del frontismo, in una deriva “revisionistica”. Questo lo stato d’animo che egli espresse nella sua prima lettera a Bobbio. Da una parte c’è un giovane appassionato di questioni ideologiche e di attualità politica; dall’altra – ricorda Tamburano – “un Bobbio che sente il dovere di discutere con questo giovane sconosciuto come un servizio reso all’onestà intellettuale”. Figura, tra i temi del carteggio, un libro di Tamburrano su Gramsci, che venne accolto con asprezza dalla stampa comunista. Di quel libro Bobbio assunse le difese. Nel resto del carteggio gli argomenti sono la sinistra, i socialisti e i comunisti.

Su questo sfondo si colloca la lettera di Bobbio che qui appare. Datata febbraio 1997, essa prende spunto dal documento intitolato “Socialismo oggi”, redatto dalla Fondazione Nenni, con il contributo di noti esponenti socialisti, a partire da Antonio Giolitti. Il filosofo torinese siede a Palazzo Madama come senatore a vita indipendente nel gruppo socialista, non condividendo la pratica del PDS, di “attirare a sé, non facendo nessuna concessione, gli intellettuali di sinistra in ordine sparso” sotto le insegne della sinistra indipendente. Quanto alla sostanza del partito nato sulle ceneri del PCI, Bobbio ha già avuto occasione di lamentare la scarsa eco riservata alla questione dei “diritti sociali”: “Se ne parla il meno possibile”, lamenta, “per non offendere i liberisti trionfanti”. Nel documento della Fondazione Nenni, cui plaude il senatore a vita, si raffigura la sinistra addirittura “genuflessa sulla via di Damasco d fronte al mercato”.
Il saggio di Bertrand Russel, cui l’autore si rifà, è Teoria e pratica del bolscevismo. Il lettore potrà cogliere nelle tesi di Bobbio un “promemoria” sul binomio socialismo-mercato, alla luce dell’attualità che vede nel Partito Democratico l’esordio d’un nuovo soggetto politico.

Quel che la sinistra deve dire sul mercato - Febbraio 1997 - di Norberto Bobbio

Caro Tamburano, ho letto con interesse il documento sul socialismo oggi, e ti ringrazio di avermelo mandato. La discussione su questo tema è più interessante che mai, sempre attuale, e vale la pena di continuare a tenerla in vita. Speravo che al congresso del PDS ci potesse essere posto anche per un discorso di prospettiva. Mi pare però che questo discorso non ci sia stato. Va bene la tattica, va bene la strategia, ma il primo partito della sinistra in Italia non può dimenticare la domanda che in questi anni ci siamo posti infinite volte: “Dove va la sinistra?”.

Interessante è nel vostro documento la distinzione tra i mezzi e il fine, e il rilievo maggiore dato al fine che non ai mezzi. Si può tuttavia obiettare che i mezzi consistenti nella collettivizzazione, nell’economia di piano contrapposta a quella di mercato sono stati finora così strettamente connessi all’ideale del socialismo, sia democratico sia autoritario, che non è facile prescinderne completamente. Ho riletto in questi giorni il noto saggio di Bertrand Russel (Teoria e pratica del bolscevismo) che non era certo un comunista e detestava Lenin, in cui sostiene che dal punto di vista economico il socialismo si appoggia “sul potere dello Stato che comprenderà, come minimo, la terra e i giacimenti minerari, il capitale e le banche, il credito e il commercio con l’estero”.

Interessante è che poco più oltre, quando parla delle attività che dovrebbero essere socializzate menziona oltre alla “salute pubblica” anche le “centrali elettriche”. Naturalmente lo statalismo del socialismo anche democratico veniva accettato in quanto lo Stato democratico era, per l’appunto, democratico, vale a dire lo Stato dei cittadini, secondo la nota formula: “Lo Stato siamo noi”. Statalismo, sì ma anche democrazia. Quello che non era previsto non era tanto il vizio dello statalismo, quanto quello della incompiuta democratizzazione dello Stato.

Di qua la rivolta contro lo Stato, in nome del mercato, una volta constatato che la statalizzazione dell’economia non è andata di pari passo con la compiuta democratizzazione dello Stato, e più Stato non ha voluto dire puramente e più semplicemente più democrazia.
Per quanto riguarda il mercato sono totalmente d’accordo con le osservazioni fatte nel documento. Anch’io sono convinto che uno dei temi della sinistra deve essere non tanto la negazione della positività del mercato, quanto la sottolineatura dei suoi limiti, non soltanto politici, ma anche etici.

Prima di tutto mi pare ovvia l’osservazione che l’uomo non vive di solo mercato. La sfera del mercato è quella dello scambio di beni, che riguarda l’uomo in quanto “economico”. Ma ogni uomo vive in questa sfera una sola parte, se pur rilevantissima, della sua vita. Nella maggior parte della sua giornata, l’uomo vive in “modi di vita” in cui il mercato non c’entra. Nella famiglia i rapporti fra le sue parti non sono rapporti di mercato. Così nella scuola i rapporti fra insegnati e studenti non sono rapporti di mercato.

Così nella sfera più o meno ampia secondo le diverse personalità, ma altrettanto rilevantissima, di carattere religioso. Altrettanto si deve dire della sfera, anch’essa per ognuno di noi di indiscutibile importanza, dell’amicizia. Sono tutte sfere in cui il rapporto tra individui non è di scambio ma principalmente di donazione. Inutile soffermarsi oltre su questo tema tanto è evidente la sua rilevanza e ricchissima la bibliografia che ne tratta.

È in queste sfere, che non hanno niente a che vedere con i rapporti di mercato, che si formano gli individui nell’ambito di una qualsiasi convivenza. Anche i rapporti di mercato si svolgono più o meno correttamente secondo le qualità morali che si formano, quando si formano, non nella sfera del mercato, la quale, anzi le presuppone. Per dirla in breve, il mercato ha bisogno di persone che si fidino le une delle altre, ovvero di persone leali. La lealtà è una qualità morale che dipende da un certo tipo di educazione, che dipende dal modo in cui il singolo individuo vive, cresce e matura nelle sfere altre rispetto al mercato.

Mi rendo conto che sto affrontando un tema che richiederebbe ben altri sviluppi. Ma il rapporto fra etica e mercato, e il problema in generale dei limiti del mercato, è un tema sul quale la sinistra non deve tralasciare di tornare con argomenti sempre più stringenti. Che del mercato debba avere dei limiti etici, lo sanno tutti. Per fare un esempio macroscopico, sul commercio delle armi il mercato non ha assolutamente niente da dire. Se ci sono Stati, o anche soltanto gruppi terroristici anti-stato, che chiedono armi, e altri Stati che queste armi offrono con le loro industrie, il mercato non ha niente da dire. Però anche in sede internazionale il problema del limite degli armamenti è sempre in discussione. Quali sono i criteri in base ai quali questi limiti debbono essere posti? Non si può aspettare che essi vengano posti dal mercato. Il mercato, di per se stesso, non ha alcuna morale. E poi: chi ha il diritto e il dovere, e quindi il potere, di porre questi limiti?

La risposta a questa domanda non può venire ancora una volta se non dalla soluzione del difficile rapporto tra Stato e mercato. Ma è proprio nella diversa soluzione di questo rapporto che il dibattito deve continuare: più Stato o più Mercato, o né Stato né Mercato in funzione di una terza via, che può essere tanto quella del “terzo settore” quanto quella della solidarietà, e quindi del “volontariato” (tipica sfera in cui il rapporto non è di scambio ma di donazione). È su tale dibattito che la sinistra avrebbe qualcosa da dire.

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