venerdì 22 febbraio 2008

da Segre alla Comencini...

di Bruno Ugolini

C’è un rifiorire del cinema dedicato agli operai. Soprattutto quando muoiono. Così leggiamo di registi che accorrono a Torino per filmare la tragedia della ThyssenKrupp. Ed è utile questo crescere delle denuncie anche sotto la pressione degli appelli del Presidente della Repubblica. È ammirevole l’opera indefessa di un’associazione giornalistica come «Articolo 21» e del suo sito Internet. Sono ondate di sdegno vitale, necessario, sacrosanto. Ma lo stillicidio delle vittime non cessa. E le misure messe in atto dall’uscente governo di centrosinistra appaiono bloccate. Altre ne fioriscono, come quella suggerita da un magistrato, Raffaele Guariniello: una superprocura nazionale contro le morti sul lavoro. Ulteriori iniziative sono discusse dentro l’Inail, un’istituzione non certo priva di mezzi, con un “tesoretto” spesso usato per sostenere le difficoltà finanziarie dei governi.

Chi scrive è però convinto che la leva fondamentale per questa lotta capace di impedire un enorme dispendio di sacrifici umani risieda negli attori stessi dei processi lavorativi. Uomini e donne che ogni giorno affrontano il rischio terribile di finire negli elenchi mortuari e in quelli, non meno terribili, della malattie professionali, degli “incidenti” che deformano i corpi e anche le esistenze. Un popolo - otto milioni di operai - che dovrebbe essere chiamato ad insorgere, a ribellarsi, nelle forme dovute, a contrattare. Riproponendo al primo posto l’antico slogan sindacale «la salute non si vende». E meno che meno la vita. È vero che spesso donne e uomini sono spinti da necessità impellenti, da buste paga assottigliate. Ma nulla vale il prezzo di una vita.Sono riflessioni che nascono spontanee alla visione del bel documentario di Daniele Segre, uno che ha dedicato la propria professionalità alle cause del lavoro. Ora intervistato anche da «Radio Vaticana». Uno che non ritorna sugli schermi perché inseguito dalla moda.

Il suo «Morire di lavoro», quell’incalzante susseguirsi di voci e di storie, dovrebbe essere trasmesso non solo dagli schermi televisivi in ore accettabili, ma anche in tutti i luoghi di lavoro. Perché può risultare un vademecum all’impegno. Perché non parla solo di operai morti, ma soprattutto di operai vivi. Delle loro giornate, del loro amore per il lavoro, della loro “sapienza” profusa per ore e ore. Perché tutto è cambiato, sono intervenuti macchinari moderni, le mansioni si sono moltiplicate e c’è bisogno di un accrescimento continuo dei saperi. Ma Segre ci racconta anche di come vadano spesso letteralmente “a mani nude” nel gorgo di queste attività. Perché non si autotutelano, si liberano spesso - come sanno bene altri operai addetti alla sicurezza - dei mezzi protettivi, per correre dietro ai ritmi voluti dal padrone. Isolati, spesso abbandonati, senza la percezione di avere intorno una società solidale, non trovano il coraggio, la voglia di dire di no.

Quella voglia che Segre cerca di instillare.C’è stato un tempo in cui la scoperta che si può uscire da un destino cinico e baro e ci si può organizzare, aveva investito grandi masse. Lo ha ricordato in un altro bellissimo film Francesca Comencini. Con le sequenze dell’autunno caldo e di quelle masse di giovani meridionali che si ribellavano, appunto, a mamma Fiat.

E davvero hanno stupito per «Fabbrica» le proteste di Raffaele Bonanni, segretario Cisl. È vero, nell’opera della Comencini non c’è la Cisl, come del resto nel film di Segre. Ma non c’è nemmeno la Cgil, salvo una toccante apparizione di Bruno Trentin davanti ai cancelli di Mirafiori nel 1980, intento a convincere i metalmeccanici che gli scioperi ad oltranza non pagano, si vince con altre forme di lotta. E ammoniva: vogliono cancellare una storia di conquiste. Così avvenne.

Certo, non ci sono, nei due film, evidenti sigle sindacali. Ma nella gran parte dei racconti montati da Segre e dalla Comencini c’è tutto il sindacato, c’è la cultura del sindacato nella sua unità. E quei due film servono al sindacato. Così come serve, in questa nostra rapida panoramica, un’antica pellicola restaurata da Guido Albonetti. Parliamo di «Apollon» di Ugo Gregoretti, proiettata sere fa nella sede dell’Arci nazionale a Roma, davanti a una folla appassionata. Un documento prezioso, tradotto in Dvd, la storia di un’eroica battaglia protrattasi per un anno. Altro esempio di come la memoria può servire, dare speranza. Visto che i tempi sono cambiati, tutto è cambiato, ma gli operai rimangono e spesso muoiono.

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