martedì 26 febbraio 2008

Il processo possibile - L'esempio della ThyssenKrupp

di Santo Della Volpe

“Fondamentale, l’importanza dell’informazione in questa vicenda della Thyssenkrupp è stata fondamentale…” dice il procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, guardando con orgoglio i 170 faldoni dell’inchiesta sulla tragedia del 6 dicembre scorso che causò la morte di 7 operai. 200mila pagine di documenti con i risultati di perquisizioni negli uffici dell’azienda, interrogatori, testimonianze perizie.

Il pool di magistrati (con Guariniello i sostituti procuratori Laura Longo e Francesca Traverso) di tecnici ed ispettori ha chiuso le indagini dopo soli 2 mesi e 19 giorni dal rogo nella linea 5 della Thyssen: ”abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissati di chiudere entro fine mese” dice ancora il procuratore aggiunto torinese, “dando la giusta risposta a una istanza di giustizia che ci è stata fatta dal paese, dimostrando che in questa giustizia, questo Stato tanto vituperato, è in grado di rispondere alle aspettative. E grazie anche a voi che ci avete fatto vedere quanto il paese chiedesse giustizia”.

Ma non è solo al mondo dell’informazione che pensa il dottor Guariniello: “Per fortuna - continua - abbiamo un Presidente della Repubblica molto attento alla tragedia degli infortuni sul lavoro, che ci ha spronato a lavorare, e bene, per le indagini e gli approfondimenti necessari a far emergere le responsabilità e, soprattutto, il modo per evitare in futuro che accadono drammi come quello della Thyssenkrupp. Il presidente Napolitano, più di tutti, ha raccolto la domanda di giustizia che si è levata dalle famiglie delle vittime. A lui dobbiamo un grazie di cuore”.

La prima novità infatti di questa inchiesta sul rogo della Thyssenkrupp è la sua stessa conclusione in tempi brevi: volendo la giustizia funziona, senza aspettare anni e senza favorire l’impunità da prescrizione, come viene definita dallo stesso dott. Guariniello. Il procuratore Generale di Torino, Giancarlo Caselli, l’aveva promesso il giorno dei funerali, davanti alle famiglie delle vittime straziate dal dolore:”Chiuderemo l’inchiesta nel più breve tempo possibile” aveva detto. “Certo, dobbiamo riconoscere che la promessa è stata mantenuta” commenta, pur nel suo dolore ancora più forte dopo 3 mesi di mancanza, la signora Isa Pisano, la madre di Roberto Scola, l ’operaio di 32 anni, tra i primi a morire quella sera, investito dalla vampata di olio bollente e nebulizzato fuoriuscito dai rulli della linea 5. ”Ora vorremmo che la giustizia proseguisse il suo percorso velocemente e che i responsabili paghino come è giusto che sia. Saranno i giudici a decidere, ma almeno che si faccia il processo in fretta così come si sono conclude le indagini”, conclude; con un pensiero per i vivi, quei "150 operai che sono senza lavoro da quella sera, con le famiglie ed i figli che aspettano un futuro”. Anche perché è chiaro che lo stabilimento non riaprirà più e per gli ultimi 150 lavoratori dell’acciaieria non si sono aperte nuove prospettive, almeno per ora.

Nel dolore che accompagna il ricordo delle famiglie delle vittime, c’è almeno questa risposta di giustizia: particolarmente importante per altri due elementi di novità. In primo luogo perché le indagini sono state svolte con perquisizioni, interrogatori, testimonianze, come cioè in una inchiesta per qualunque altro delitto, senza limitare le indagini alla sola relazione dell’ispettorato del lavoro, come spesso avviene in caso di morti bianche.

Una indagine complessa con molte persone impegnate, dalle ASL alla polizia giudiziaria, dai vigili del fuoco ai molti consulenti tecnici fino alle istituzioni, regione Piemonte, provincia e comune di Torino, con persone e mezzi. Già questo spiegamento di forze indica perché sia necessario aumentare il personale a disposizione di chi indaga sugli infortuni sul lavoro e lo snellimento delle procedure d’indagine; questa inchiesta è stata chiusa celermente perché c’erano 7 morti dentro l’acciaieria che ha fatto più discutere in Italia negli ultimi mesi: perché i riflettori della stampa e tv sono stati sempre accesi sulla vicenda, per l’emozione che ha comunque provocato. Ora si tratta di estendere la stessa mobilitazione per tutti gli incidenti mortali sul lavoro, per garantire che non ci siano trattamenti diversi per morti che sono tutte ugualmente gravi.

L’altra novità importante dell’inchiesta di Torino emerge dall’imputazione di omicidio volontario con dolo eventuale, oltre all’incendio con dolo eventuale ipotizzata per l’amministratore delegato della Thyssen Italia, Harald Espenhahn (per gli altri 5 imputati si va dall’omicidio colposo e l’incendio colposo con colpa cosciente all’omissione volontaria di cautele contro gli incidenti). E’ la prima volta che nel caso di una morte bianca, per quanto multipla, si propone l’omicidio volontario, ipotesi di delitto che può comportare anche 21 anni di pena, se la corte d’assise dovesse riconoscerne la validità. Non è tanto la somma degli anni che colpisce (anche perché il rito abbreviato e le attenuanti generiche potrebbero portare una eventuale condanna a 7-10 anni al massimo). Quanto il fatto che per la prima volta si può ipotizzare il carcere per i responsabili di u grave incidente mortale sul lavoro. Un deterrente formidabile per chi in passato, confidando sulla lunghezza dei processi e sulla sola imputazione di omicidio colposo al massimo, poteva sperare in una sostanziale “impunità” come afferma il dott. Guariniello.

Nel caso della Thyssen è stato possibile ricostruire che i responsabili della sezione italiana del gruppo,sapevano che dovevano intervenire per mettere in sicurezza gli impianti, ma avevano deliberatamente deciso di correre il rischio spostando gli interventi antinfortunistici a dopo il trasferimento delle linee produttive da Torino a Terni. “From Turin” c’era infatti scritto sulla cartella di documenti aziendali sull’antinfortunistica dello stabilimento torinese, trovata nelle perquisizioni:E questo nonostante la compagnia assicurativa dello stabilimento avesse imposto una franchigia specifica di 100 milioni di euro invece dei 30 previsti fino al 2006,chiedendo espressamente interventi di adeguamento antinfortunistici negli stabilimenti italiani, Torino compreso. Non fu fatto.

Ma quanti sono i casi simili di mancati adeguamenti che possono stare alle spalle di incidenti sul lavoro? Quante morti si potrebbero evitare con interventi preventivi? Il dottor Guariniello su questo punto è chiaro: ”questa esperienza insegna che dobbiamo cambiare metodi investigativi per gli infortuni sul lavoro, mobilitarci per le indagini così come avviene per gli altri gravi reati: E poi pensare che non possiamo dire ,dopo ogni incidente che le leggi devono essere applicate. Dobbiamo pensare a come applicare le leggi prima,per evitare gli incidenti: Ci vogliono nuovi strumenti, più ispettori, è vero, ma soprattutto più specializzazione nei magistrati,tra gli inquirenti: Noi qui siamo una procura grande - continua il magistrato - ma nelle piccole procure, nelle zone di frontiera nella lotta alla criminalità, in tutto il paese insomma, bisogna creare le professionalità giuste, formare competenze. Per questo è necessaria una procura nazionale contro gli infortuni sul lavoro che abbia competenza su tutto il paese, che sappia come intervenire e coordinare le indagini: Così si crea anche deterrenza nei confronti di chi pensa di farla franca senza fare gli interventi preventivi”.

Ed anche questa è una lezione che viene dalla Thyssenkrupp. Bisogna vedere come e se sarà raccolta l’indicazione del procuratore aggiunto Guariniello.

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