martedì 5 febbraio 2008

Rischio e Democrazia = il Tabellone Comunale di Rischio

Ivar Oddone e Alessandra Re

Oggi giorno la parola "rischio" è una parola magica, che sembra aprire tutte le porte che dovranno offrirsi a un mondo costruito a misura d'uomo. Eliminare i rischi è un fatto essenziale. Ma, la lista dei rischi diventa di giorno in giorno più lunga, si deve quindi decidere quali sono i rischi da eliminare per primi, e perché, perché si sono scelti questi i rischi piuttosto che altri. Il numero dei rischi, o meglio gli elementi identificati tali, sono ormai un numero immenso, nel senso matematico del termine, (ossia 10.80.). Risultato: non ci sono più rischi perché tutto è rischio.

LA PAROLA RISCHIO E IL DIZIONARIO

Ma che cosa significa la parola rischio? Dobbiamo cominciare da quello che ci dice il dizionario. Secondo il Piccolo Dizionario Larousse Illustrato (1913) rischio significa: Danno, pericolo, inconveniente "possibile". Il Larousse edizione 1991 conferma la denominazione attribuendone l'etimologia all'italiano antico "risco" (dal latino resecare = tagliare o dal greco “risocon” radice). Al contrario l'italiano Tramater (1829) riporta l'etimologia del termine italiano rischio al francese “risque”, derivato dal celto-bretone "risq" che significa sdrucciolare = “glisser”.
La differenza tra le due parole: rischio e pericolo. Il Tramater sottolinea nel termine rischio il riferimento a un danno "distante", nel termine pericolo un danno "prossimo" vicino. Mentre per Larousse, il rischio è un pericolo "possibile". Nel piccolo Larousse Illustrato una massima interessante, pertinente: "Un dizionario senza esempi è uno scheletro ". Come dire che la definizione o la denominazione non è sufficiente; ci vogliono degli esempi per caratterizzare, connotare, definire concretamente qualunque parola, parlare di rischi significa dunque ricordare le connotazioni salienti del rischio.
A pezzi e bocconi io posso numerare qualcuna di queste connotazio­ni, in termini di condizioni preliminari. In effetti il rischio interessa veramente come idea-guida se, e solamente se, soddisfa minimamente le seguenti condizioni:
  1. definire concretamente il rischio prioritario (o una lista di rischi prioritari;
  2. identificare e verificare i criteri che favoriscono la scelta della priorità;
  3. sapere che il rischio deve sempre essere considerato in rapporto alla prevenzione;
  4. ricordarsi che il sistema della prevenzione deve essere un sistema permanente che bisogna mettere in opera;
  5. identificare un sistema di prevenzione dei rischi prioritari che tutti i cittadini possano "padroneggiare";
  6. rendere esplicito un linguaggio pertinente (in quanto con­tratto linguistico in linguaggi diversi) che tutti devono conoscere e utilizzare a proposito dei rischi;
  7. rendere espliciti i giochi di quelli che sono implicati in situazioni che producono rischi prioritari e che contengono il rischio stesso.
GLI UOMINI E IL RISCHIO NELLA STORIA

Se vogliamo riflettere correttamente sul soggetto "rischio" a partire dagli elementi suddetti, dobbiamo parlare di quello che significa il rischio di malattia e di morte nella storia, e di che cosa significa oggi, non soltanto come parola, ma anche e soprat­tutto nelle sue implicazioni. Il rischio di malattia e di morte (dando particolare importanza all'ambiente esteriore e ai fattori ereditari e all'ambiente interno) è stato considerato in maniera differente nel corso dei diversi periodi STORICI, secondo lo stato della conoscenza scientifica e secondo lo stato del modello storico-culturale di ogni epoca.
In generale io penso alla storia della conoscenza scientifica come a una storia delle nuove scoperte che si aggiungono al patrimonio esistente. Al contrario, secondo l'ipotesi proposta da Kuhn, il processo di sviluppo della conoscenza scientifica avviene in modo discontinuo per mezzo di "rivoluzioni" che cambiano l'ottica, la prospettiva delle scienze. La storia dei modelli di interpretazione delle malattie (e dunque delle situazioni di rischio) è infatti una storia che si sviluppa per stadi successivi in funzio­ne al genere delle malattie prevalenti, dei mezzi disponibili per farvi fronte ma innanzi tutto in funzione dei modelli socio-culturali.
Si può dire che richiamare a modelli scientifici propriamente detti, ai soggetti di controllo della malattia è un affare recen­te. Si deve contemporaneamente distinguere tra i modelli di tutti (i non medici) e i modelli di quelli che hanno nella società la funzione di guaritori, di medici. Io credo si possa dire che in un primo periodo, il lungo periodo di storia che precede il modello clinico, la formazione dell'esperienza sulle malattie e la socia­lizzazione delle conoscenze sono stati due processi paralleli, che coincidono per taluni aspetti. Dall'esperienza dei danni presenta­ti per un morso di serpente o l'ingestione di un frutto, d'una bacca o di una determinata foglia (o della sua eventuale utilità) alla constatazione dell'utilità che se ne ha di proteggersi dalle intemperie, dal freddo o dalle infezioni prodotte per la presenza di escrementi nel luogo dell'abitazione, si può presupporre un lungo processo d'acquisizione di conoscenza e di esperienze dirette, sopratutto a livello di piccoli gruppi.
I gruppi che non hanno socializzato certe esperienze (nel senso dell'acquisirle attivamente) hanno pagato duramente questa mancanza spesso a prezzo della loro scomparsa. Queste acquisizioni, anche grossola­namente comparate alle nostre conoscenze attuali, hanno trovato nella maggioranza degli uomini delle esperienze e in piccoli gruppi una funzione specifica in seno alla comunità (guaritori, maghi.medici) i portatori, il nucleo di aggregazione di questa esperienza e gli agenti di un vasto processo di socializzazione. Quello che è importante sottolineare, è la parte probabilmente importante della partecipazione di tutti alla definizione delle conoscenze da socializzare, almeno per quelle relative alla salute e alla malattia.
Un esempio notevole: la descrizione di un tabulato della malattia dei minatori fatta da Ippocrate circa 25 secoli fa. La dispnea, (difficoltà di respirazione), la costipazione e la rigidità delle ginocchia (i minatori lavoravano in gallerie molto basse) caratte­rizzavano secondo Ippocrate i minatori della Carpazia, regione mineraria della Grecia. Di più, egli rileva che le donne di questa regione si sposavano più volte, certamente perché gli uomini che lavoravano nella miniera morivano piuttosto giovani. Egli si serve sicuramente di risultati dell'osservazione, dell'esperienza di parecchie generazioni in un territorio costante: la regione delle miniere. Una situazione nella quale non importava comparare la vita, la malattia e la morte degli uomini che lavoravano nelle gallerie della miniera a quella delle donne e anche degli uomini che non lavoravano, pur vivendo per il resto nelle stesse condizioni.
In seguito, nel periodo clinico, i modelli non medici rappresenta­ti da una serie di informazioni strutturate, almeno tutte quelle concernenti le grandi malattie (meningite, difterite, polmonite, febbre tifoide, tubercolosi, ecc...) portate alla conoscenza della maggioranza della popolazione. I non medici e i medici avevano in comune il modello delle malattie fondamentali. Il concetto di rischio che ne derivava era patrimonio di tutti e faceva parte della cultura stessa come qualche cosa che non si poteva non conoscere. Ne derivava una situazione che noi possiamo immaginare: i rischi concreti erano la morte e le malattie fondamentali conosciute da tutti. Se c'era una alterazione dello stato di benessere si considerava la sofferenza come un segno da inter­pretare. Se i segni rassomigliavano al quadro di una malattia considerata come grave (l'insieme di queste malattie era presente nella mente di ognuno per esperienza diretta o trasmessa), si chiamava il medico, se si avevano i mezzi. Di qui ne deriva l'uti­lizzazione corretta del sapere medico per povero che fosse. Il medico utilizzava allora la conoscenza della scienza medica in una forma quasi massimale, perché esse erano integrate in un sistema d'informazione che il medico partecipava gli uomini che chiedevano il suo intervento.

IL RISCHIO OGGI

Per quel che concerne il modello conosciuto, bisogna sottolineare la difficoltà attuale di acquisire modelli di malattia che garan­tiscono un uso corretto dei considerevoli mezzi che abbiamo oggi a disposizione. Il confronto tra il dato medico e il dato dell'espe­rienza empirica è improbabile, quando si rapporta a una grande quantità di linguaggi, spesso non omogenei tra loro, dei diversi rami della specializzazione. Bisogna aggiungere la difficoltà, della impossibilità di risalire a una sintesi verificata a partire dai molteplici indici di laboratorio o derivati di esami per i quali si utilizzano vari strumenti. Da ciò deriva l'insicurezza delle generazioni attuali nei comportamenti di fronte al rischio, ma anche di fronte all'acquisizione di regole di vita che po­trebbero allontanare un certo numero di rischi.
Un tempo l'adozione di comportamenti molto utili di fronte ad alcuni tipi di rischi, si esprimeva anche sotto forma di superstizione. Per esempio, la comparsa di tumori benigni superfi­ciali nei neonati (che si chiamano “angiomi” nel linguaggio scienti­fico e si chiamano macchie di vino o voglie nel linguaggio popola­re, è attribuito al fatto che la madre non aveva potuto soddisfare durante la gravidanza certi desideri alimentari. Da cui il nome di voglie (di vino, di caffè o di fragole, secondo il colore) dato a questi angiomi cutanei. E' certo che queste superstizioni agiscono contro il rischio di sotto-alimentazione delle donna incinta, perché creano per la donna nella famiglia, una priorità dal punto di vista alimentare.
L'organizzazione del sapere comune che sotto intende al linguaggio di tutti noi è oggi un fatto mediatico, assai poco controllato dagli scientifici. A partire dal momento in cui la comunicazione deve stabilirsi all'interno di un linguaggio (o più linguaggi) tecnico-scentifici e un linguaggio comune, una integrazione valida deve essere necessariamente decimale, ossia costruita in forma arborea. Il tronco (il rischio in generale), il primo ordine di rami deve essere comune al linguaggio scientifico e ai linguaggi utilizzati per disegnare classi di situazioni di rischio. Lo sviluppo del linguaggio scientifico può allora articolarsi fino al dettaglio più sofisticato, il più esoterico. Una integrazione valida non ci pone soltanto il problema di comunicazione della conoscenza e lo scambio all'interno del linguaggio tra specialisti e il linguaggio di portatori di pratica sociale. Essa pone sopra­tutto il problema di una azione in comune, d'una integrazione di piano tra i due, che non si può confezionare come un esperanto ma che dobbiamo costruire come un contratto linguistico esplicito. Si potrà immaginare, inventare un racconto su quello che il rischio ha significato nella storia dell'uomo.
  1. Quindi: L'esperienza immediata del danno, il pericolo dopo.
  2. Dopo: la memoria del pericolo di danno. Dunque, una rappre­sentazione di una situazione di pericolo e di una risposta sotto forma di azione per difendersi.
  3. Dopo ancora: parecchie memorie legate alla stessa situazione di pericolo e diversi tipi di risposta, affidati alla memoria personale e al contesto della memoria di altri esseri umani.
  4. La rappresentazione del rischio si raddoppia via via nella misura in cui la risposta diventa più ricca, dunque più complessa. Al danno in se stesso, si aggiunge (almeno dal punto di vista del soggetto) il rischio di rispondere in modo inadeguato. E sufficiente pensare al rischio di essere morsi da una vipera: il pericolo da considerare è l'effetto del veleno, ma anche quello di un siero; bisogna muoversi presto per arrivare all'ospedale o è meglio muoversi lentamente per evitare di mettere in circolazione il veleno?
  5. Stessa cosa quando il rischio rimane lo stesso (ma questo non è vero del tutto) le possibilità di rispondere diversamente si moltiplicano perché la conoscenza delle differenti situa­zioni possibili aumentano. La certezza di una risposta adeguata si modifica spesso in proporzione inversa alle conoscenze.
  6. Dal punto di vista della rappresentazione cognitiva, il danno primario diviene il sotto-insieme del danno globale, in un campo psicologico che comprende sia la paura del danno sia la paura di non saper scegliere una risposta efficace. Tutti i giorni, la conoscenza di nuove possibilità aumenta la diffi­coltà di scegliere, dal punto di vista generale e ancora di più da un punto di vista completo, nella situazione.
  7. L'acquisizione di una dimensione sovra-individuale di rischio si può produrre attraverso una dicotomia. Da un lato il problema della dialettica dentro i modelli tecnico-scientifici e i modelli empirici si pone molto spesso in modo anarcronistico. La soluzione sarà: la delega della soluzione ai "sapienti". Agli uomini politici, il compito di reperire le risorse. Agli altri, la valutazione a posteriori, molto spesso negativa sull'ambiente di vita, senza che le scelte tecniche siano messe in discussione.

La ricerca di una dimensione sovra-individuale di rischio può così produrre un sistema complesso di priorità sotto forma di scelte collettive dei rischi più gravi o più frequenti, selezionati tra quelli che non si possono padroneggiare.

UNA REALIZZAZIONE SPERIMENTALE

A partire dalla fine degli anni '70 ho avuto l'opportunità di lavorare con i mutualisti di Bouches-du-Rhone (Mutuelles de France) per realizzare un progetto e in seguito di un sistema di prevenzione. Delle cose che ho appreso ce ne è una che voglio ricordare qui: si tratta del fatto che il problema di padroneg­giare i rischi per la salute può avere delle soluzioni concrete e differenti in rapporto alle forme di democrazia che caratterizzano il paese nel quale si lavora per controllare questi rischi. L'identificazione dei rischi si definisce tanto nelle scelte di rischi prioritari e tanto nel tipo di sistema di prevenzione. Sopratutto, in quanto la capacità di utilizzazione dell'esperienza fatta sul terreno della prevenzione, via via e in misura che la forma di democrazia permette questo processo, o qualche volta lo rafforza.
In Italia e in Inghilterra, per esempio l'organizzazione della democrazia esclude le forme locali di organizzazione della salute, dato che esiste una organizzazione nazionale che determina il tipo di organizzazione della salute in tutti i suoi aspetti, su tutto il territorio nazionale.
In Francia al contrario, l'inter­vento dello stato lascia una certa libertà di sviluppo dell’organizzazione della salute sotto forme locali secondo l'iniziativa della Mutue!le o della Maire (di tutti i cittadini). I risultati: le Unità Sanitarie Locali italiane sono dappertutto le stesse; in Francia ci sono delle differenze notevoli tra i diffe­renti comuni, in rapporto alle iniziative locali delle organizza­zioni sociali che utilizzano queste possibilità per meglio adatta­re l'organizzazione sanitaria alle esigenze del territorio. In realtà i rischi non sono gli stessi in tutte le Maires. Non si tratta solamente di fatti concreti, legati alla geografia fisica o economica (zone sismiche o no, industrializzate o no) ma si tratta sopratutto della maniera con cui i cittadini della zona si pongono il problema del rischio, dunque producendo modelli di azione in rapporto ai danni che minacciano la salute. Su questa base, le organizzazioni sociali modellano l'organizzazione della risposta ai rischi.

UNA NUOVA CONCEZIONE DI RISCHIO

Secondo noi è molto importante distinguere tra rischio DA e rischio PER. Il rischio DA è il danno stesso, il pericolo concreto che dobbiamo evitare. Per esempio: rischio da silicosi, di bron­chite cronica, di tumore. Il rischio DA è caratterizzato dal fatto di essere posizionato nell'uomo o quanto meno nell'essere vivente.
I rischi PER: tutte le situazioni che favoriscono il rischio DA e aumento della probabilità di rischio DA si trasformano in offesa. Il livello di specificazione nel quale si considera la situazione di rischio sono talmente numerose che è realmente difficile ricordarsi che, in fondo, esiste un rischio DA. I rischi DA misurano il rischio reale e rappresentano il domani dell'esperienza medica. I rischi PER misurano tutte le situazioni che favori­scono il rischio DA. Essi rappresentano gli elementi sulla cui base i cittadini si formano una carta, una mappa dei rischi del territorio.

Il riferimento teorico è Wiener, l'inventore della cibernetica. Negli ambienti scientifici, si considera, a buona ragione, come il padre del sistema che ci ha permesso le grandi avventure nello spazio. E' anche l'autore di "L'impiego umano degli esseri umani" (introduzione alla cibernetica) dove scrive nel 1950: "è molto più facile organizzare una impresa che utilizzi un milionesimo delle facoltà cerebrali dei propri impiegati, che impegnarsi a costruire una società nella quale gli uomini possano esprimere tutta la loro potenzialità". Ci si può domandare se si potrà superare questa sotto utilizzazione di capacità intellettuali dei cittadini esattamente a proposito del controllo dei rischi esistenti nel circondario. A tutt'oggi, abbiamo a nostra disposizione per "l'impiego umano di essere umani" non soltanto la tecnologia più sofisticata, non soltanto tutta una serie di esperti e di esperte, ma soprattutto un mezzo: la democrazia, che è sicuramente capace di dare allo sviluppo tecnologico finalità valide. Il rischio è dunque un fatto di democrazia in tutte le sue forme. Una democra­zia che può permetterci di integrare a un livello superiore, coerente con le esigenze dei tempi, i modelli di rischio di tutti i cittadini con i modelli scientifici.

Il sistema di cui abbiamo bisogno: una mappa dei rischi prioritari al centro di un sistema di partecipazione. Una rappresentazione dello stato delle cose come referenza tra comuni e popolazione, i medici, gli eletti come attori di una evoluzione continua del progresso, di fronte alla lotta per un contesto umano.

Su questo pannello (mappa):

  1. il nome del comune;
  2. la lista dei rischi prioritari;
  3. la localizzazione di questi rischi sul territorio;
  4. quanto dei danni previsti (legati agli altri rischi selezionati) si possono stimare;
  5. quanti dei soggetti colpiti, l'organizzazione sanitaria nel suo insieme è stata capace di definire. Questo quadro può essere al centro di una battaglia contro i rischi, una risposta adeguata almeno nel senso di un tentativo concreto di coniugare strettamente democrazia e scienza come elementi complementari.

Questo quadro può costituire la base e la sintesi di un catasto della salute dipartimentale. Il catasto fondiario è stato un punto di forza della Rivoluzione Francese. Il catasto comunale dei rischi potrà avere un ruolo importante nella lotta contro i rischi all'interno del dipartimento. Nel processo di controllo del dipartimento, il quadro dei rischi è un po' come a una "rotonda" o una piazza rispetto ai semafori della segnaletica stradale nella circolazione automobilistica. Assolutamente chiaro in relazione al comportamento che si domanda ad ognuno; una sola condizione da rispettare per operare correttamente: il rispetto della regola della priorità.

Una regola di condotta tra uomini, che non richie­de consumo di energia, ne elaborazione di segni, ne sviluppo di tecnologie. Questa regola non è in contraddizione con lo sviluppo tecnico scientifico, al contrario, permette di utilizzare al meglio, gli altri strumenti, la tecnologia informatica. La qualità fondamentale dell'informazione resta quella di essere figlia della cibernetica, ossia della scienza del timoniere, di colui che prima di tutto si pone il problema del suo scopo, per verificare, dopo, la validità dei mezzi scelti.

A che cosa serve una buona accumulazione di informazioni se non si è in condizione di utilizzarle per il fatto che il loro numero è eccessivo? Su questo terreno io ho appreso non poche cose che però non è possibile descrivere qui, ma che si possono vedere a Martigues e a Port de Bouc, se si vuole conoscere il rischio nel suo significato globale. Una risposta in termini di progetto e di realizzazione.

BIBLIOGRAFIA

T. KUHN, La struttura della rivoluzione scientifica, Università di Chicago, 1962
I. ODDONE, A. Re, G. Briante, Riscoprire 1'esperienza operaia, Edition Sociales, Paris 1982.
I. ODDONE Medicina preventiva e partecipazione, Editrice Sindacale Italiana
A. RE Psicologi a e soggetto esperto. La trasmissione della competenza professionale, Editrice Tirrenia Stampatori, Torino,1990
Y. SCHAWARZ Esperienza e conoscenza del lavoro, Editions Sociales, Paris 1988
N. WEINER The Human Use of Human Beings, Houghton Missin Company, 1950

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